Via nuova Dietro la Vigna 20, 80145 Napoli
Info e prenotazioni 081 5851096 / 081 5514981

Area Nord in Festival 2024

di e con Aida Talliente
disegno luci Luigi Biondi
assistente al suono Alessandro Barbina
video animation Cosimo Miorelli
assistente al video e alle proiezioni Roger Foschia
elementi scenici Luigina Tusini
grafica per le proiezioni Giulia Spanghero e Virginia Di Lazzaro
grafica Massimo Staich
fotografia Matteo De Stefano
consulenza e realizzazione sonora di alcune parti Massimo Toniutti, Alberto Novello, Giorgio Pacorig
una produzione Aria Teatro Pergine | CSS Teatro stabile d’innovazione del Friuli Venezia Giulia
patrocinato dal Centro d’Accoglienza E. Balducci

Note di regia

"Domani non è una parola
domani è la speranza
non abbiamo che lei.
Usiamola,
facciamola diventare occhi, mani, rabbia
e vinceremo la paura."
L. Zanier


Lo spazio scenico è bianco. Il fondale è stropicciato come un foglio di carta stracciata. In proscenio, a terra, una zona consolle occupata da un dia proiettore, piccole aste per microfoni, un video proiettore, un ventilatore, giocattoli sonori, strumenti musicali, prismi. Poco più in là una dream machine (un giradischi con cilindro inciso da cui esce una luce che proietta nello spazio la parola“Speranza”).
Sono quattro i “quadri” che costruiscono il progetto con una parte iniziale, in cui Le Beatitudini vengono riportate in modo molto diretto alle persone. Non parlerei di prologo ma di un momento di accoglienza.
Una prima parte, senz’altro la più intima, più affettiva e personale è dedicata alla mia famiglia, a quelli che chiamo “gli umili e i puri di cuore”, raccontata non più dalle parole ma soltanto da immagini, suoni ed azioni evocative accompagnate da un “diario fotografico” proiettato sul fondo. Le grandi immagini dei miei cari vengono scomposte da prismi che creano riflessi nello spazio circostante e quello spazio si riempie di quelle presenze, della loro memoria, del loro vissuto.
Il secondo quadro è dedicato a quelli che “piangono e che verranno consolati” ed è un piccolo frammento della vita di Mario Vatta, uno straordinario uomo di fede che negli anni ha sempre vissuto in mezzo alla strada, tra gli ultimi, riuscendo a costruire una delle più belle comunità d’accoglienza nella città di Trieste. Per raccontare questo piccolo momento di vita, scelgo di farlo lavorando con un disegno video che si compone durante la storia. I disegni a carboncino sullo sfondo di un cielo bianco, danno forma ad un piccolo cimitero. L’ombra del corpo entra dentro il disegno dialogando costantemente con le immagini fino alla fine del quadro. Immagino Mario sulla tomba del padre, gli porta una rosa e gli racconta di ciò che gli è da poco accaduto; la perdita di uno dei ragazzi entrati nella comunità. Ancora un momento intimo e delicato, dunque. Un figlio che parla sulla tomba del padre per ritrovare un po’ di calma, di consolo, di luce dopo aver subito una perdita.
A condurci nel terzo quadro, quello successivo, è una sequenza fisica che porta un nuovo “discorso della montagna” agli uomini, ma questa volta più rabbioso, più concitato, più urgente. E poi si entra nella terza parte dedicata ai “non violenti”.
F. e’ un ergastolano in carcere da 9 anni, rimasto latitante per 16. Ex boss di mafia. Da un anno ci scriviamo lettere. La sua figura non si vede, è in controluce. Sul fondo una diapositiva disegna delle sbarre. L’uomo parla. Parla di quello che vive ora dentro al carcere. Parla del tempo, il tempo della condanna che per un ergastolano è la vita stessa. Pertanto la condanna avrà fine solo quando avranno fine i suoi giorni. Parla di una condizionein cui è impossibile avere Speranza. Eppure anche in quella condizione, esiste. La Speranza è quella di trovare qualcosa lì dentro, che ancora permetta di sentire quelle emozioni che parevano cancellate. Per lui la Speranza è rappresentata dallo studio; imparare, conoscere, apprendere e dalla musica classica, che porta la commozione in un cuore che sembrava morto. Parla di Ravel, del secondo movimento del Concerto in sol, e ne parla come se una musica così bella portasse con sè una possibilità e per un istante riuscisse a trasformare le sbarre in altro. Così accade, durante queste parole, che un prisma davanti all’obbiettivo rompe l’immagine delle sbarre proiettando giochi di luce e un canto dolce, ci fa entrare nel quarto e ultimo quadro “Quelli che hanno fame e sete di giustizia e i perseguitati a causa della giustizia”.
La parola Speranza viene nuovamente proiettata nello spazio.
L’immagine di partenza è arrivata come suggestione dopo aver letto le “Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea”. E dunque, a chiudere questo percorso, è la figura di una donna distesa a terra. Le sue mani stringono una rosa sul petto. Le parole che utilizza sono parole di Speranza, di Libertà, di Verità che parlano ad altre donne, gli uomini e ai giovani. Parole d’augurio. Parole di una memoria concreta che guarda avanti. E su questo ultimo saluto, il disco comincia a irare proiettando vorticosamente la parola “Speranza” nello spazio e suonando la musica di Ravel. Quel corpo a terra senza vita, rimane così per un po’ sulle note del Concerto in sol.
Sul fondo compare un grande sole giallo. La donna si alza e battendo i piedi corre a aggiungere quel raggio di sole che, ancora una volta, la può scaldare.



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