Archivio TAN
4-5 Novembre | Il cielo in una stanza
di Armando Pirozzi e Emanuele Valenti
uno spettacolo di Punta Corsara
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, 369gradi
con
Giuseppina Cervizzi: Carmela Amedeo
Christian Giroso: Avvocato, Romolo Castellani detto il Conte, Golia
Sergio Longobardi: Alce Nero, Secchia
Valeria Pollice: Agente Immobiliare, Lucia Spadaro, Mariella
Emanuele Valenti: Alfredo Cafiero, Responsabile ufficio emigrazione
Gianni Vastarella: Ceraseno Amedeo, Enzuccio Spadaro, Ingegnere napoletano
Peppe Papa voce registrata de Il sotterrato
scene Tiziano Fario
costumi Daniela Salernitano
disegno luci Giuseppe Di Lorenzo
organizzazione e collaborazione artistica Marina Dammacco
assistente costumista Nunzia Russo
macchinista Walter Frediani
datore luci Giuseppe di Lorenzo
sarta Nunzia Russo
realizzazione scene Alovisi Attrezzeria – Napoli, Costumi Ro.Ca.Gi – Ercolano,
service luci e Fonica Megaride S.A.S – Napoli,
trasporti Porcacchia – Roma,
foto di Scena Giusva Cennamo,
grafica Raffaele De Martino,
ufficio stampa Katia Prota
Coordinamento Organizzativo Alessandra Attena
Distribuzione Patrizia Natale e 369gradi
Organizzazione generale Roberta Russo
Il cielo in una stanza, scritta da Gino Paoli e interpretata da Mina nel 1960, è la canzone di un amore che abbatte le pareti di una stanza, il racconto di una storia comune, nata in un luogo intimo, privato, come la propria casa. Se però questa casa crolla, cosa resta del sogno romantico, cosa resta della giovane coppia che l’ha sognato e cosa diventa quel luogo che il crollo ha portato via?
Se quella che ‘non ha più pareti ma alberi infiniti’ è una stanza del 1960, allora sarà parte di un edificio degli anni immediatamente precedenti, quelli anni ’50, magari a Napoli, in cui, proprio attraverso la costruzione e distruzione di case e parti di città, si avviava un processo di trasformazione sociale, secondo un piano regolatore delle esistenze che guardava al futuro e irrimediabilmente stravolgeva le identità conosciute.
Partendo da fonti diaristiche e fatti di cronaca, dall’emigrazione in Svizzera alla speculazione edilizia, viste secondo le logiche dell’evocazione più che la cronologia degli eventi, il nostro racconto si struttura come una rivisitazione allucinata della classica commedia Eduardiana in tre atti e comincia proprio da qui: il cielo, con il crollo, è entrato veramente nella stanza, che ora veramente 'non ha più pareti'. E guardandoci dentro, incontriamo una comunità di personaggi che negli anni ’90 continua a vivere in questa architettura sbilenca, non riuscendo ad allontanarsi da quel che resta del palazzo. Li incontriamo nel momento in cui vogliono fare i conti con il proprio passato e trovare un modo, costi quel che costi, per archiviarlo e ricominciare a sognare un futuro. Ammesso che questo sogno sia ancora possibile. Ma le posizioni paradossali che, come in una folle sarabanda, si trovano di volta in volta a sostenere o ripudiare, riflettono la confusione in cui turbina ogni loro ideale politico, etico, anche spirituale, e che ricorda molto da vicino il nostro disorientato presente.