Via nuova Dietro la Vigna 20, 80145 Napoli
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testo e regia di Terry Paternoster
con Maria Vittoria Argenti, Teresa Campus, Ramona Fiorini, Chiara Lombardo, Terry Paternoster, Mauro F. Cardinali, Gianni D’Addario, Donato Paternoster, Alessandro Vichi
produzione Collettivo Internoenki
disegno luci Giuseppe Pesce
assistente tecnico Ezio Spezzacatena
organizzazione Anca Enache
grafica Luca Longu
residenze artistiche Teatro Bi.pop c/o Zona Rischio
Casal Bertone (Roma) - Teatro Sala Umberto (Roma)
ufficio stampa Marzia Spanu

NOTE DELL’AUTRICE
Era l’estate 2011, un’estate da dimenticare per mille ragioni, ma che ha segnato l’inizio di una nuova fase della mia vita, guidandomi alla riscoperta di una terra maledetta, la Basilicata, incastonata fra le storie e i ricordi del suo perpetuo servaggio. Ho rincontrato racconti imbevuti di sonno, insoddisfazione e dolore, quei “fatti” che molti anni fa mi avevano portato a spingermi fuori le mura. Parlo del mio amato e odiato Sud, quel Sud che mi ha accolto piccina e dal quale sono fuggita con la promessa di tornare. Per cambiare le cose, chiaro, ma con la consapevolezza di affrontare una guerra persa in partenza: le cose non cambiano se non sono le coscienze a voler cambiare. Parlo della mia terra e dei suoi 586.313 abitanti, parlo della mia gente, di una regione che confina con terra e mare, la cui storia comincia col sole e finisce con la triste metafora del “cane a sei zampe”.
Tornare in Basilicata mi ha risbattuto in faccia due realtà: una evidente, in cui la politica si fa complice del dissesto e l’altra latente, più difficile da sradicare: la mentalità. Mi riferisco a quell’attesa infinita, satura di speranza e fiducia paziente, tipica della mia gente, mi riferisco a quell’atteggiamento di chi è insoddisfatto e rimane con gli occhi al cielo come aspettando una manna, che non arriva.
Un modo di fare che forse, in principio, apparteneva anche a me, ma che oggi rifiuto e contesto.
Le morti imputate all’aria che non “è più quella di una volta“ reclamano il loro degno compianto, in un tempo in cui anziane signore ripetono fra i denti: «Si stava meglio quando si stava peggio» di fronte al feretro di un giovane stroncato dal male del secolo. Nel fiore degli anni.
Sono morti, queste, che fanno rabbia, e la rabbia cresce davanti all’impotenza. Chi prova ad opporsi non è in grado di contrastare le dinamiche di questo sistema che ci distrae, obbligandoci a pensare agli interessi personali piuttosto che a quelli collettivi. E fa rabbia uno Stato che si nasconde dietro lunghe valutazioni burocratiche e temporeggia, rallentando la costituzione di un ente o una commissione in grado di rilevare eventuali violazioni dell’ENI, come la costituzione di una BioBanca, ad esempio, capace di misurare direttamente l’esposizione dei cittadini alle sostanze tossiche. Il monitoraggio di parametri biologici, come sappiamo, ha un ruolo fondamentale nella valutazione e gestione del rischio per la salute, poiché la semplice “misurazione ambientale” dei diversi inquinanti, rappresenta soltanto un indicatore approssimativo della reale esposizione umana.
Al momento non c’è, né da parte delle istituzioni né tanto meno da parte di Eni, la volontà di rispondere con dati probatori.
È di fronte a questa realtà ignava e complice che ci si arrende, piccoli, soli, impotenti, senza futuro e senza più “fatti“ da raccontare.
Oggi i vecchi racconti del focolare diventano gli sfoghi delle piccole insoddisfazioni quotidiane. Così, mentre la torcia di metano brucia giorno e notte idrogeno solforato (un veleno più potente dell’arsenico), l’iconografia e la narrativa orale lucana si arricchiscono di cronache di raccolti distrutti, vite spezzate e madri che piangono per il loro più grande senso di colpa: condizionare il futuro dei figli, costringendoli a rimanere fedeli alla terra dei padri. C’è chi resta e resiste, c’è chi
parte e ritorna, c’è chi non tornerà mai più. È sull’immagine di quelle madri piangenti che nasce la nostra Medea, metafora amara di una terra tradita che uccide i propri figli.
Partendo da quest’assunto di superficie, ho approfondito la questione del petrolio in Basilicata attraverso una ricerca sul campo condotta in due tempi: prima nell’estate del 2011, poi nell’estate del 2012. Una ricerca video documentata, che raccoglie le testimonianze di cittadini, geologi, medici, eccellenze politiche, ambientalisti di Legambiente e WWF, che si sono messi a disposizione del progetto M.E.D.E.A. Big Oil.
E’ stato anche grazie ai ragazzi del Collettivo che ho potuto approfondire la mia ricerca. Mi hanno seguita in Basilicata per respirare un po’ “d’aria pura”, quasi completamente ignari di una “situazione lucana” mai all’apparenza tanto drammatica, se ci si ferma in superficie.
Il Collettivo è composto da ragazzi e ragazze provenienti da varie regioni italiane: Lombardia, Friuli, Veneto, Campania, Lazio, Umbria, Puglia, Abruzzo, Sardegna. Siamo giunti in Basilicata con l’intenzione di documentarci e siamo andati via con quel senso d’impotenza di cui scrivevo sopra, perché una prova scientifica, sull’effettiva responsabilità del dissesto ambientale a carico dell’Eni, al momento non esiste.
Durante questa operazione di ricerca, il fato ha voluto che mi imbattessi in un annuncio fornito proprio da Eni, che promuoveva un Master in “Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente”, pubblicizzato con l’acronimo “M.E.D.E.A.”. Devo ammettere che è stato tanto facile quanto suggestivo riconoscerne un’incredibile coincidenza. È così che la nostra Medea è diventata M.E.D.E.A. Big Oil. Un sincronismo di casi tanto evidente, mi ha suggerito e spinto a seguire una direzione “nuova” per l’elaborazione drammaturgica e la riscrittura del mito.
La trasposizione scenica del lavoro sul campo è stato il frutto di un altrettanto duro lavoro, che cerca di far camminare sullo stesso binario antropologia, impegno civile e ricerca teatrale, con il fine ultimo di raggiungere e costituire un linguaggio in grado di “svegliare”.
Il linguaggio che intendo ricercare non chiede all’intellettuale di abbassarsi all’intrattenimento, ma intende elevare la gente comune a uno spirito critico. Ecco perché la scelta di disturbare i “buffoni”.
Fra le righe di una parodia cattiva, i buffoni raccontano pagine di amara verità: come l’illusione che il petrolio avrebbe cambiato le sorti di una regione storicamente segnata dalla povertà. Un’illusione che i lucani conoscono bene, ma che non hanno il coraggio di scardinare.
Avrei potuto scrivere l’ennesimo libro che parla di petrolio, invece ho scelto di mettere insieme un gruppo di 31 persone, nel periodo storico peggiore. Perché oggi è “follia” lavorare in gruppo, facendo teatro indipendente. Per mia natura, non seguo le mode ma le necessità, e oggi ritengo sia necessario unirsi, per dimostrare a quello stesso Sistema che ci vuole soli, deboli e “tutti contro tutti”, che le “grandi rivoluzioni sono fatte di piccoli gesti”.
Questo è solo un piccolo gesto, un piccolissimo contributo ad una rivoluzione già inaugurata. Con fiducia e urgenza. Sempre.
Terry Paternoster - Collettivo InternoEnki

IL TEMA
M.E.D.E.A. Big-Oil è una rielaborazione contemporanea, del mito di Medea, proposta secondo una linea di trasposizione anti-canonica ben marcata, che colloca la vicenda nella Basilicata petrolizzata.
La nostra tragedia, anti-canonica perché contaminazione di una miriade di ulteriori formule stilistiche, diviene lo strumento prescelto a raccontare una situazione che, impiantandosi negli archetipi della storia lucana, trova ragion d’essere nel suo presente. Affrontando il tema del greggio, della sua estrazione e delle conseguenze tutt’altro che felici che quest’ultima aveva su una società popolana privata degli strumenti politici, cognitivi e ideologici per contrapporsi ad una colonizzazione quasi aberrante e totalitaria, ci siamo trovati a fare i conti con una forma di servitù particolare. Ci siamo resi conto, cioè, che ci trovavamo di fronte ad una atipica “Sindrome di Stoccolma”: analogamente al meccanismo d’innamoramento tra rapitore e rapito, nel nostro caso ciò che priva della libertà è, al tempo stesso, l’unico rife-rimento di una società sconquassata. Le compagnie petrolifere sono simultaneamente, quindi, sequestratrici della terra e oggetti d’amore.

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