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di Paola Berselli e Stefano Pasquini
con Paola Berselli, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini
scenografia e costumi Teatro delle Ariette
regia Stefano Pasquini
segreteria organizzativa Irene Bartolini
ufficio stampa e comunicazione Raffaella Ilari
produzione Teatro delle Ariette

Uno spazio scenico condiviso: una Cucina. Un grande tavolo al centro. Attorno ci sono tavoli da lavoro, forno, pentole, fornelli, taglieri e mattarelli.
Paola, Stefano e Maurizio accolgono gli spettatori, li fanno accomodare attorno al tavolo e apparecchiano.
"Per noi è sempre molto bello invitare gli amici a pranzo o a cena, però non è facile. Ci sono sempre troppe cose da fare, il tempo manca...", dice Stefano.
Così comincia la cena (o il pranzo) e i tre attori, servendo acqua e vino, focacce, formaggio, verdure e tagliatelle, raccontano storie di vita (di teatro, di agricoltura, di paura di volare, di amici e di cinghiali), esperienze personali, piccoli fallimenti apparentemente senza importanza, inquietudini che attraversano il nostro presente.
Lo fanno con leggerezza, senza drammatizzare, piuttosto con la voglia di giocare.
Nella Cucina-Teatro delle Ariette tentano di creare, per il tempo effimero dello spettacolo, una comunità provvisoria, forse ancora possibile.

Il Teatro delle Ariette è nato nel 1996. La sua storia è raccontata nel libro "Teatro delle Ariette. La vita attorno a un tavolo". Uno dei loro spettacoli più noti "Teatro da mangiare?" ha realizzato più di 1000 repliche. L'8 aprile 2017 il Deposito Attrezzi, costruito nel 2000 in mezzo ai campi delle Ariette, è diventato ufficialmente un teatro. In tutti questi anni la Compagnia ha cercato un dialogo serrato con il teatro, tenendosi ai margini, in equilibrio su quella linea di confine che separa il teatro dalla vita, lottando con la "forma spettacolo", tentando di superarla, trasformando la vita nella prova infinita di uno spettacolo inimmaginabile.

"Ci siamo persi e ritrovati. Oggi, attorno a un tavolo, il mondo ci è venuto incontro. E ci ha portati in un posto senza tempo né luogo. Adesso bisogna ricominciare da zero. Con la promessa di non celebrare, di non mentire. Con la voglia, lo spirito di vita dei bambini.
In 20 anni si imparano tante cose. Si fa esperienza, ci si confronta con la forma del linguaggio che si utilizza. Più il tempo passa, più ti accorgi che quello che ti interessa veramente è qualcosa di profondo, di semplice, di vero. Ricominciare da zero significa pulire il proprio pensiero e la propria azione dalle incrostazioni del tempo e ritrovare la purezza, la necessità e la forza del vero motivo per cui facciamo teatro, che è la voglia di condividere domande. Così ci siamo confrontati con la stessa forma che abbiamo scoperto e praticato in Teatro da mangiare?, cioè abbiamo trasformato la nostra Cucina in un Teatro, e il nostro Teatro in una Cucina.
Da allora a oggi è cambiata la società, il mondo, noi, gli spettatori. Tutto si è trasformato.
Nella vita quotidiana è sempre più difficile trovarsi attorno a un tavolo.
Ma la forza empatica ed evocativa dello stare attorno a un tavolo in teatro mette attori e spettatori in una condizione unica e speciale.

Il teatro ci permette di evocare, di costruire e vivere quello che nella vita quotidiana sta scomparendo. Continuiamo a chiedere al teatro la forza, la bellezza di essere, nel momento del suo farsi, una espressione della comunità. Più la vita ci relega in una posizione voyeuristica di consumatori, più il teatro corre il rischio di diventare oggetto di consumo, merce. Ma noi continuiamo a cercare la magia dell'incontro vero e vivo, del rito partecipato e condiviso.

Potremmo intitolare i nostri spettacoli con delle date invece che con delle parole, come se continuassimo a scrivere, a ogni spettacolo, il diario della nostra vita. Non ci muoviamo per temi, ma per tempi. Quello che succede a noi e nel mondo in un dato periodo è la materia con cui ci confrontiamo.
Così oggi, parlare di piccoli fallimenti significa riflettere sulle occasioni in cui ci siamo scontrati con le leggi che governano il mondo e abbiamo perso. Queste sconfitte non hanno cambiato la nostra anima: continuiamo a vivere e ad agire secondo le nostre convinzioni e, dopo il disorientamento dei primi fallimenti, abbiamo imparato a perdere. Forse per questo siamo diventati invincibili.
Per il mondo i nostri fallimenti sono irrilevanti. Bene, lo sono anche per noi, perché continuiamo comunque a vivere, a lottare, a piangere e a ridere, a fare teatro, a coltivare la terra, a fare il pane e le tagliatelle, a invitare gli amici e a chiamare le persone che vanno a teatro spettatori e non pubblico".

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